Gary Ridgway – il diavolo in lacrime.

Per anni ci siamo dedicati allo studio della criminologia, al profiling e ai dossier sui serial killer di tutto il mondo. Forse quello che ci ha colpito di più è stato il soggetto di cui parleremo oggi. Non perché sia il caso più efferato o la storia più contorta e interessante, ma perché è un caso per così dire “completo”. Violenza totale, colpi di scena quasi bizzarri, errori giudiziari, perversione ai limiti del concepibile, punizione esemplare, più un “ingrediente” assente negli altri casi: il perdono.

Lui è Gary Rigdway, passato alla storia come “Green River Killer”, 49 vittime accertate, altre decine di vittime presunte.

Gary nasce a Salt Lake City il 18 febbraio del 1949. Presenta fin da piccolo i tre elementi della nota “triade di macdonald”: piromania, violenza sugli animali, enuresi.
La triade di MacDonald venne teorizzata nel 1963, ma è stata recentemente messa in discussione per la sua validità. In sostanza, afferma che la maggior parte dei serial killer presentano quei tre “campanelli di avvertimento” nell’infanzia e nell’adolescenza.

In ogni caso, Gary durante i suoi primi anni di vita ha diversi problemi. Come da sua stessa confessione, prova sentimenti contrastanti per la madre che vanno dal fantasticare sul possederla sessualmente alla voglia di strangolarla. Il padre non nasconde di essere un assiduo frequentatore di prostitute e non risparmia al figlio racconti che non sarebbero in realtà ideali per un bambino. In particolare, racconta di quando lavorava in un obitorio e aveva visto un uomo fare sesso coi cadaveri. Questo episodio si marca a fuoco nella mente di Gary.

Entrambi i genitori non sono affatto violenti sotto l’aspetto fisico: non picchiano il figlio, ma sono bravissimi a comprometterne la stabilità mentale.

A 16 anni, il futuro Green River Killer ha una gran curiosità da soddisfare. Vuole sapere cosa si prova ad uccidere un essere umano. Accoltella un bambino di 6 anni, lo nasconde nei boschi e se ne va soddisfatto della “prova”. In realtà la vittima non è morta, e viene in seguito salvata da un’operazione al fegato e una lunga convalescenza.
Ridgway diventa un uomo, si sposa per due volte, nasce anche un figlio, ma è ossessionato dal sesso, dalle prostitute, da mogli infedeli e amiche di famiglia. Tutto questo lo porta a due divorzi. poi si sposa una terza volta, nel 1988, con Judith Mawson. La loro storia finirà con l’arresto dell’assassino.

Gary Ridgway uccide presumibilmente tra il 1982 e il 2001. Quasi 20 anni di carriera omicida. Tutte le sue vittime, eccetto una, sono prostitute, tra le prede più “classiche” degli assassini seriali e le più semplici da colpire. Ma il modus operandi di Gary è tutt’altro che banale. Ci fa sesso, poi le strangola a mani nude o con un laccio, e infine arriva la parte più atroce: ci fa sesso di nuovo. Il Green River killer non è più ossessionato dal sesso “normale”, ma dalla necrofilia.
Ciò che darà maggior “fama” a Ridgway, sarà una sua abitudine, se possibile ancora più raccapricciante: il suo sovente ritorno su ogni scena del crimine per fare di nuovo sesso coi cadaveri, anche se sempre più decomposti.
Siamo al cospetto di un mostro assoluto, e di una mente deviata come poche al mondo.

Intanto sono iniziate le indagini.
Indagini sconclusionate e dai risvolti clamorosi, considerando che in America L’FBI era ed è un organo molto ben preparato in materia di serial killer.
Gary è arrestato più volte nel corso degli anni e mai incriminato dei delitti. Nel 1982 e nel 1986 viene sottoposto anche alla macchina della verità, superando l’esame entrambe le volte.

Tutto questo ci riporta amaramente a pensare alle storie raccontate in precedenza, di Cikatilo e Minghella. Gary è una persona brillante e intelligente, e per anni, con facilità, si beffa di ogni accusa di colpevolezza e torna libero. Perché proprio lui ha avuto questo potere?
Addirittura una certa Rebecca Guay, una prostituta, lo riconosce in un confronto e lo accusa di aver provato a strangolarla, ma Gary fa cadere l’accusa in poche ore, screditando la versione della ragazza.

Poi c’è un particolare della storia, quasi comico.
La polizia ormai non approda a nulla da anni, e un giorno accetta la collaborazione di un improbabile “profiler”: Ted Bundy.
Per chi non lo conoscesse, Bundy è stato tra i killer più prolifici e “geniali” della storia. Una trentina di giovani donne uccise con un’efferatezza sbalorditiva.
Ted viene condannato a morte per i suoi omicidi, e mentre attende la sua fine, o forse per cercare di rimandarla o addirittura evitarla, si offre di aiutare la polizia nelle indagini. Conia un nuovo soprannome per Gary, “the Riverman”, ne traccia un profilo che in seguito si rivelerà errato, e ci tiene a far sapere ai suoi “colleghi” della polizia che comunque lui era più bravo e affascinante di Ridgway. Attirava le sue vittime con abili stratagemmi e col suo magnetismo. Riverman se l’è presa con vittime troppo semplici da abbordare.

Questa ridicola parentesi si conclude in breve tempo, senza portare risultati, e Bundy, il 24 gennaio del 1989, muore sulla sedia elettrica.

Ridgway distrugge vite per altri 12 anni, fino a quando il 30 novembre del 2001, viene messo dietro le sbarre. Viene arrestato con l’accusa di aver violentato e ucciso 4 donne, lui ne confesserà altre 44.
Grazie a questo “patteggiamento” Gary Ridgway ha evitato la pena di morte. Sconta attualmente una pena di 48 ergastoli, 480 anni di carcere.

Durante il processo accade una cosa che destabilizza l’opinione di tutti, ma proprio tutti coloro che hanno seguito il caso del Green River killer. Ridgway una persona terrificante, algida nel compimento delle sue azioni, affamato di sangue e di sesso con corpi esanimi di innocenti ragazze poco più che ventenni. In aula non ha un solo attimo in cui mostra un qualsiasi accenno di pentimento. Rimane celebre un video in cui durante l’ammissione dei suoi delitti, ripete senza variazione del tono della voce, modulazione o enfasi, ad ogni accusa, la parola “guilty” (colpevole). E’ una fredda macchina della morte e del dolore.

Il giudice, prima della sentenza finale, dà la parola ai parenti delle vittime. Sono minuti interminabili in cui fiumi di parole d’odio e rabbia gonfiano l’aula tanto da opprimerne l’aria. Gary ascolta tutto, immobile, senza quasi battere le palpebre. Sembra non esserci nessuno all’interno del suo corpo, di certo non un’anima. Poi per ultimo prende la parola il padre di una delle vittime, e l’atteggiamento impassibile di Ridgway cambia drasticamente. Gli occhi si fanno lucidi, una serie di smorfie scomposte del volto, quasi un tremore, e infine dirompe in un pianto copioso.

Cos’è successo?

E’ successo che quell’anziano signore, con la voce rotta da una profonda emozione, si dispiace per tutto l’odio lanciato contro l’assassino, che Dio gli ha insegnato a perdonare e che per questo,perdona anche il killer di sua figlia. Gli dispiace profondamente per tutto. Gli dispiace per il destino di Gary Rigdway.

La fredda macchina, si trasforma in un piccolo uomo in lacrime. E’ stata forse la prima volta che qualcuno gli abbia rivolto delle parole di compassione e di perdono? Poteva essere diverso Gary? Avrebbe potuto avere prima due genitori compassionevoli, poi un’istruzione retta, amici e una compagna amorevoli? Se avesse conosciuto il bene, sarebbe diventato comunque ciò che è diventato?

La violenza genera violenza, e quella psicologica è ben più distruttiva di quella fisica.

Teorizzano in molti che Gary Ridgway sia nato geneticamente predisposto ad uccidere.

Quelle lacrime davanti a chi gli ha mostrato affetto e comprensione, forse, rivelano altro.