Ted Bundy – fine di un amore, inizio di un incubo

Un argomento molto delicato e spesso frainteso o malvisto è il trovare delle affinità con un assassino e comprenderne le gesta. Il più delle volte capita che alcune persone lo facciano per provocazione o per una sciocca dimostrazione di anticonformismo, per una insana voglia di suscitare scalpore. Ne abbiamo sentite parecchie. C’è chi si “vanta” di avere avuto la stessa infanzia di questo o quel killer, o addirittura di avere le stesse tendenze omicide, ma un attimo di lucidità in più, e certamente la paura di una condanna a vita, ne ferma l’impulso.

Goliardate il più delle volte, da noi contestate e …derise.

E’ vero però che certi “fattori di stress”, per usare un termine criminologico, sono più comuni di altri e inducono molte persone ad una reazione spropositata, ad una vendetta, e nel peggiore dei casi, al crimine. Ciò può avvenire in maniera subitanea, (ad esempio immediatamente dopo aver subito un lutto, la fine di una relazione o più semplicemente in seguito ad un licenziamento sul lavoro o ancora, dopo un incidente traumatico), altrimenti può succedere a distanza di mesi, anni o decenni. C’è quindi chi ha una reazione improvvisa e disastrosa,
e chi dimentica e seppellisce i brutti ricordi…senza successo.
La fine di un’amore, nello specifico, è un trauma che subisce la maggior parte di noi.
E’oggettivamente un momento di grande disperazione, tristezza e fragilità. La razionalità è soppressa da un’esaltazione dell’emotività. Ognuno reagisce a modo proprio: c’è chi cade in una forte depressione, chi sopporta stoicamente, e chi si gonfia di rabbia e nutre vendetta.

Theodore Robert Bundy ha tramutato la sua disperazione in omicidio seriale.

I traumi subiti da Ted però sono due: la “comune” fine di un amore e un evento ben più raro, quasi inimmaginabile.

La nostra ormai ben nota attitudine a scavare tra “le ragioni del male”, con la storia di Ted, viene ampiamente soddisfatta; il futuro serial killer, un giorno scopre che i suoi genitori sono in realtà i nonni materni e sua sorella maggiore, la madre.

Il vero padre non ha riconosciuto il figlio e ha fatto sparire le sue tracce e la madre, nell’intento di salvaguardare la rispettabilità della propria famiglia ed evitare malelingue,
opta per questo “stravolgimento di parentela” bizzaro, quasi comico…e disastroso.

Ted Bundy scopre tutto da solo e in un attimo, a livello emotivo, si sporge sull’orlo del baratro.

Il destino, alle sue spalle, gli da’ la spinta fatale.

All’età di ventun’anni anni Ted incontra Stephanie Brooks, una ragazza bellissima, l’amore della sua vita.
Stephanie è di buona famiglia, intelligente e brillante, e vuole un compagno alla sua altezza.
Una volta laureata, Stephanie tronca ogni rapporto col fidanzato e va avanti per la sua strada.

Ted cade nel vuoto, sconvolto, distrutto.

Una donna, sua madre, gli ha mentito sulla sua origine e crescita. Una donna, il suo amore, lo ha abbandonato cancellandolo da un momento all’altro.

Una donna dovrà pagare per questo, e poi un’altra, e poi un’altra…

Trentasei vendette. Trentasei omicidi.

L’orrore viene consumato in poco più di cinque anni, dal 1974 al 1979. Le vittime sono tutte ragazze poco più che adolescenti e sempre estremamente somiglianti a Stephanie Brooks, l’amore perduto di Bundy.

Il Modus Operandi di Ted è disarmante per la sua efferatezza, nonché per astuzia e velocità di esecuzione.
Se ne va in giro con una Volkswagen Maggiolino bianca, punta la sua preda e coi suoi modi gentili e il suo aspetto piuttosto attraente la adesca. Il più delle volte la induce a compassione, mostrando una falsa ingessatura al braccio. Chiede aiuto per caricare delle cose in auto, fa accomodare la malcapitata all’interno, e il resto è violenza raccapricciante. Morte.
Le vittime in genere vengono stuprate, sodomizzate, prese a colpi di spranga o strangolate. Ted non si pone limiti. La vendetta va consumata per bene.

Semina cadaveri a Seattle, nello Utah e in Colorado, dove un pomeriggio viene fermato per eccesso di velocità. All’interno della sua auto vengono trovati una spranga, un passamontagna, un rompighiaccio e delle manette. Bundy finisce dietro le sbarre, ma ci rimane molto poco. Salta da una finestra del carcere e scappa. Viene ripreso sei giorni dopo, ma riesce di nuovo ad evadere.

La sorveglianza è un disastro, e Ted miete nuove vittime.

Questa volta approda in Florida. Il 14 Gennaio 1978 entra nella sede del gruppo studentesco “Chi-Omega” e uccide due ragazze mentre dormono. Lisa e Margaret, 20 e 21 anni.
Sui loro corpi, segni di morsi ovunque. Di lì a poco Bundy viene fermato alla guida di un’auto rubata. Scattano di nuovo le manette, questa volta, definitivamente.

Ted viene processato tra il 1979 e il 1980. Ad incastrarlo saranno proprio i segni dei morsi lasciati sui corpi delle due ragazze uccise al Chi-Omega. Poi le prove si moltiplicano e le vittime anche. Trentasei omicidi, trentasei vendette. La sentenza può essere una sola: condanna a morte. Alle 7:06 del 24 gennaio 1989 Ted Bundy viene giustiziato sulla sedia elettrica.

Questa storia non lascia spazio a nessun dubbio sul perchè dell’accaduto.
Una famiglia, a nostro parere completamente folle, manda in frantumi la stabilità emotiva di un uomo. Ogni sicurezza, qualunque verità finora ritenuta tale, diventa menzogna.
Poi l’abbandono, da parte di chi per un attimo aveva dato a Ted affetto, conforto e amore “normali”. L’ordine diventa caos, il mondo crolla, la corda si spezza.

Conosciamo bene il senso di smarrimento che si prova all’indomani di una deprivazione affettiva.
Le conseguenze, in questo caso, sono state le più estreme e letali.

Come sempre, non siamo qui a giustificare gli atti di un assassino seriale, ma solo a comprenderne la natura. Inoltre alcuni particolari dell’infanzia di Ted Bundy rivelano un soggetto naturalmente predisposto al male. La sorella minore (che si rivelerà poi essere sua zia), un giorno si sveglia circondata da coltelli da cucina mentre Ted, di soli tre anni, se ne stà in piedi vicino al letto guardandola con un sorriso. E’ lui stesso a confessare di essere stato ossessionato fin da bambino dalla pornografia, dal voyeurismo e da immagini violente di stupri e assassinii. Sono i suoi stessi professori a definire “inquietante ed estremamente violento” il suo comportamento a scuola.

Quei due traumi subiti sono stati l’innesco, ma l’ordigno era già perfettamente costruito e funzionante, pronto ad esplodere.