Quello di Stevanin è un altro di quei casi in cui “le ragioni del male” sono più che evidenti. Ci sono date e luoghi precisi in cui il soggetto in questione è stato investito da forti traumi e le conseguenze sono chiare, logiche e… comprensibili. Il nostro sforzo è sempre lo stesso: rimanere distaccati dalle aberrazioni operate da uno spietato killer.
La storia di Stevanin è lineare, con causa ed effetto tanto semplici quanto sconcertanti.
Gianfranco nasce il 21 ottobre 1960 a Montagnana, in provincia di Padova. I genitori sono due ricchi proprietari terrieri. Coccolano e viziano il proprio figlio come un principe. Mamma Noemi è onnipresente, perdona qualsiasi capriccio al suo piccolo tesoro. Gianfranco passa i primi anni della sua vita nella più totale agiatezza, in una casa che esplode di amore.
Ha anche tanti amichetti. Gioca, sorride sempre ed è un bambino assolutamente felice.
Mentre frequenta la terza elementare, tutto si ribalta in maniera fulminea e devastante.
Gianfranco è costretto ad entrare in un collegio di preti per un intero anno. Mamma Noemi sta male e non può occuparsi di lui; è di nuovo incinta ed è una gravidanza a rischio, una gravidanza che terminerà con un aborto spontaneo.
In collegio Stevanin comprende, sia pur alla sua tenerissima età, la vera essenza della solitudine. Si chiude completamente in sé stesso, lontano da quei genitori iperprotettivi e amorevoli che fino ad un attimo prima erano stati tutto il suo universo.
In collegio Stevanin stringe anche il suo primo profondo rapporto con la morte. Durante la sua permanenza, in quell’istituto avviene un decesso. Gianfranco entra nella camera ardente, tocca il cadavere e ne rimane scosso e… affascinato.
Dopo un anno Gianfranco torna a casa e comincia a dare una mano nei campi di famiglia.
Dopo poco tempo, scivola sul fango e sbatte la testa contro un attrezzo agricolo. 4 punti di sutura, niente di grave.
Entrambi i genitori però, terrorizzati all’idea che il loro bambino possa farsi di nuovo male in qualche modo, decidono di chiuderlo in un collegio di suore.
Qui Stevanin passa molto, molto tempo, fino al secondo anno delle scuole superiori.
E’ già completamente compromesso a livello psicologico, avendo perso di nuovo e improvvisamente le figure dei genitori, ma per aggiungere ulteriore scompenso emotivo, è in questo collegio che Gianfranco, a 13 anni, ha la sua prima, malsana, esperienza sessuale.
Lei è una 24enne sposata e insoddisfatta che abusa del ragazzino per sfogare le sue frustrazioni.
Nel 1975 Gianfranco torna a casa. Ha 15 anni, e circa un anno dopo ha un terzo trauma.
E’quello più pesante.
Quello definitivo.
E’ il 21 Novembre del 1976. Gianfranco monta in sella alla sua amata motocicletta, dopo qualche centinaio di metri cade e si procura un violentissimo trauma cranico.
Rimane in coma per settimane e dopo un mese subisce un complicato intervento chirurgico.
Dopo l’uscita dall’ospedale, Stevanin torna a casa, del tutto cambiato.
Ha crisi epilettiche, lascia gli studi perché non più capace di concentrarsi, ha un carattere e un approccio col prossimo completamente diversi.
Ora è ossessionato dalla pornografia, adora fotografare ragazze nude e in pose oscene. Colleziona nel tempo più di 7000 foto. Un hobby innocuo in fondo.
I problemi sono altri.
In 5 anni, dal 1978 al 1983, Stevanin compie diversi reati, uno più bizzarro dell’altro.
Comincia col fingere di essere stato rapito per riscuotere il riscatto dai genitori. Obbliga una ragazza ad accompagnarlo a una festa, fingendo di avere una pistola in tasca.
Infine viene accusato di omicidio colposo per aver investito con l’auto, e ucciso, una ragazza in bicicletta.
Nei rapporti con le donne, Gianfranco vuole solo e soltanto rapporti occasionali sempre più estremi e violenti.
Nel suo casolare allestisce una “stanza del piacere perverso”. Videocassette hard, vibratori, borchie e cuoio e tutto il necessario per praticare “bondage”, forse la sua passione più grande.
Colleziona le sue 7000 foto erotiche, rade e conserva i peli pubicie ciocche di capelli delle proprie conquiste sessuali.
Quando non trova ragazze consenzienti, si rivolge a giovani prostitute. Si susseguono anni di abbondante perversione, poi arriva il 16 novembre del 1994.
Quella sera Stevanin chiede a una prostituta, Gabriele Musger, la solita prestazione tra foto e sesso spinto. Lei accetta.
Quando insieme raggiungono il casolare però, Gianfranco ha l’irrefrenabile pulsione di spingersi oltre. Così la donna subisce per diverse ore violenze di ogni tipo, sotto la minaccia di pistole e coltelli.
L’unico modo che ha per salvarsi la vita, è offrire a Stevanin tutti i suoi risparmi, 25 milioni di lire. Basta andarli a prendere a casa sua.
Gianfranco accetta, prende l’auto e si dirige verso l’abitazione della Musger. Al casello di Vicenza Ovest, mentre Stevanin è intento a pagare il pedaggio, Gabriele si lancia fuori dall’auto e corre verso una pattuglia della polizia stradale appostata lì vicino. La donna denuncia il proprio cliente per violenza sessuale e scattano le manette. Stevanin viene condannato a 3 anni e 4 mesi per violenza carnale.
Non si rende necessario la perquisizione del casolare, una leggerezza che qualche tempo dopo, si trasformerà in un errore imperdonabile.
Finora questa non è la storia di un serial killer. Gianfranco Stevanin ha commesso un brutto reato, ma non una serie di omicidi.
Questo è ciò che credono gli inquirenti, che una volta messo dietro le sbarre il criminale, archiviano il caso.
Dopo sette mesi Gianfranco ottiene gli arresti domiciliari. E’ la mattina del 3 luglio del 1995 e rimane soltanto da prendere le proprie cose e tornare a casa.
quella stessa mattina, un bracciante sta lavorando in uno dei campi della famiglia Stevanin, quando la sua falce si impiglia in un sacco. Dentro ci trova qualcosa di terribile: un tronco umano, senza gambe, senza braccia, senza testa. Ora forse, una perquisizione in quello che presto verrà ribattezzato “il cascinale degli orrori”, è d’obbligo.
Qui le forze dell’ordine trovano il sopracitato “arsenale”: quelle 7000 foto erotiche, taglierini, corde, peli pubici, ciocche di capelli, abbondante materiale pornografico, vibratori, borchie e cuoio.
Poi trovano qualcosa di molto più inquietante; parecchie tracce di sangue, un intero armadio pieno di abiti femminili e documenti di due ragazze scomparse, di cui non si hanno più notizie da anni.
La polizia non fa nemmeno in tempo a concludere questo primo sopralluogo, che ricevono una seconda chiamata, questa volta dal cugino di Giancarlo. E’ accaduto di nuovo: durante il lavoro nei campi, la falce si è impigliata in un sacco. Dentro c’è un tronco umano.
A Gianfranco chiaramente gli hanno revocato gli arresti domiciliari.
Passa giorni sotto interrogatorio, ma nega di avere qualunque responsabilità
nega di aver scattato quelle foto ritrovate nella sua stanza, nega di aver fatto a pezzi e seppellito due donne nei suoi campi. Non può aver fatto una cosa del genere. E’ completamente estraneo a questi orrori, non sa di chi siano quei documenti, non sa spiegare la presenza di quella gran quantità di abiti femminili. Non sa nulla, non ricorda nulla.
Poi all’improvviso confida a chi lo interroga qualcosa di apparentemente inspiegabile. Dice di ricordarsi che una volta stava lavorando nei campi e ha visto una porzione di terra dove stranamente non era cresciuta l’erba. Sa esattamente dove sia e dà precise indicazioni ai carabinieri che, una volta sul posto, dopo ore di scavi recuperano il corpo di una terza donna.
Gianfranco viene nuovamente interrogato in maniera sempre più pressante, ma la storia si ripete.
Prima nega, poi dice di non ricordare, e infine confessa cose che non hanno attinenza con le vittime già ritrovate. Confessa qualcos’altro e ogni volta, riaffiora un nuovo cadavere. Diventano quattro le vittime, poi cinque, poi sei.
Stevanin resta sotto interrogatorio e comincia a parlare di ricordi confusi, forse di sogni.
Non sono accadute davvero quelle cose. Non possono essere vere.
Le storie hanno tutte un copione pressoché identico. Gianfranco carica prostitute in auto, torna al casolare e le paga per fotografarle e fare sesso violento. Durante l’amplesso mette un sacchetto in testa alle malcapitate, o le mani al collo. Ogni volta il coito si conclude con la morte delle prostitute. Ogni volta Gianfranco, non sapendo cosa fare e preso dal panico, le fa a pezzi, ne seppellisce i resti nel campo o comunque se ne libera in fretta in altro modo, dopodiché, dimentica e ricomincia.
Per lui saranno anche ricordi confusi, sogni e cose mai accadute, ma i sei cadaveri, le sei donne uccise e fatte a pezzi sono reali.
P
uò iniziare immediatamente il processo a Gianfranco Stevanin. L’accusa addita l’uomo come un feroce killer, dal modus operandi spietato, che infligge morti atroci alle sue vittime.
La difesa parla di un individuo incapace di intendere e di volere, vittima di una famiglia iperprotettiva e opprimente. Vittima soprattutto di quel brutto incidente in moto che ha compromesso per sempre il suo già fragilissimo stato mentale.
Durante il processo Gianfranco, in maniera completamente distaccata e con tono di voce pacato, illustra come si fa a sezionare un corpo in 10 parti nella maniera più corretta. Risponde alle domande dimostrando largamente di non riuscire a distinguere il bene dal male.
Ma alla fine vince l’accusa. Stevanin è condannato all’ergastolo. Il mostro ha finito di disseminare morte.
Durante la sentenza il killer dice una frase: “aspettate un attimo, forse non avete capito”.
Quelle ultime emblematiche parole, aleggiano nell’aula mentre Giancarlo viene portato in cella.
No Gianfranco, nessuno può minimamente comprendere ciò che hai fatto. L’importante è fermarti per sempre.
Rimane un dettaglio particolarmente macabro. Tra quelle famigerate 7000 foto, compaiono i volti di quasi 100 donne. Le vittime sono davvero soltanto 6?
Gabriele Musger è riuscita a sopravvivere mantenendo sangue freddo, usando una serie di astuzie, e avendo una gran fortuna a trovare una volante della polizia nel posto giusto al momento giusto.
Quante altre sono uscite dal casolare degli orrori, indenni?
Un’ultima considerazione da parte nostra. Quell’incidente in moto ha di fatto menomato le capacità mentali di Gianfranco, compromettendo la zona limbica del cervello, che “controlla” l’aggressività.
In termini medici, si parla di “sindrome bilaterale dei lobi frontali”. E’ un danno cerebrale gravissimo, e noi ci poniamo le seguenti domande: Stevanin avrebbe dovuto e potuto intraprendere un percorso psichiatrico dopo il trauma subito? Perché quella famiglia così iperprotettiva, non si è curata di lui nel momento più critico? Perché tanta leggerezza nel lasciare un soggetto tanto labile in piena libertà d’azione? E gli altri traumi? l’abbandono nei collegi e quella prima esperienza sessuale disarmante?
Nessuno ha aiutato Gianfranco.
Mai.
I suoi traumi, l’abbandono, si sono tramutati in omicidio seriale.