Torniamo a parlare di un caso italiano. Come anticipato nel precedente articolo, vorremmo soffermarci per un po’ su quello che potremmo definire un macabro “scherzo del destino” e purtroppo, la storia della criminologia è ricca di errori giudiziari e di coincidenze sfortunate che hanno rimesso in circolazione dei killer senza pietà e…prolifici.
Questo è il caso di Maurizio Minghella.
Sulle prime, la storia di Minghella è un “classico”.
Prima di tutto, un passato disastroso.
Maurizio nasce a Genova e cresce in un quartiere popolare, a Bolzaneto. A soli 6 anni, il primo grande trauma.
La madre divorzia e si mette in casa un uomo manesco e alcolizzato. Maurizio viene percosso senza particolari ragioni, quotidianamente; lui, i fratelli e la madre. Il patrigno picchia tutti, sempre.
A scuola Maurizio è una frana. Non supera la seconda elementare e la ripete fino a 12 anni. Così come viene picchiato in famiglia, restituisce il colpo contro i compagni di scuola.E’ un ragazzino molto violento, con tutti.
Inizia presto a fare pugilato e la violenza fisica è al centro dei suoi pensieri. Dove non arriva con le parole, arriva coi pugni. Senza cultura, senza una grande intelligenza, con poca memoria e un interesse quasi nullo per tutto ciò che lo circonda. Così cresce e diventa uomo Maurizio Minghella.
Poco più che maggiorenne arriva il secondo trauma:la morte del fratello, a causa di un incidente stradale.
Da qui in poi Maurizio sviluppa un perverso piacere per tutto ciò che è disgrazia. Viene attratto dalla morte, dal guardare i cadaveri e le famiglie in lutto. Frequenta l’obitorio di Genova, così, per passare il tempo ad osservare il dolore. Viene attratto dalla disperazione. Intanto si sposa con una quindicenne, dipendente dagli psicofarmaci, che in poco tempo abortisce spontaneamente, cade in depressione e muore di overdose.
Quell’aborto è il terzo trauma per Minghella.
Al nono mese di gravidanza, la giovane moglie perde sangue a fiumi e Maurizio ci immerge letteralmente le mani tentando di fermare l’emorragia, ma è tutto inutile.
Il suo stato psichico sarà gravemente e definitivamente compromesso dopo questo avvenimento.
Minghella diventa un ladro di auto e un assiduo frequentatore di prostitute che, dall’aprile al novembre del 1978, comincia a uccidere.
ne uccide 5, tra i 15 e i 21 anni. Le violenta, le fracassa il cranio o le strangola, e le getta via.
Viene arrestato nel Dicembre dello stesso anno. La condanna è l’ergastolo. Sembra la fine di un malvagio assassino. Caso risolto. Chiuso.
E invece, e da qui che inizia davvero la parte orribile della storia.
Maurizio Minghella non chiede perdono per aver mietuto 5 vittime, non prova nessun dolore o dispiacere. Si dichiara innocente per anni, disperatamente.
riconosce di averne uccise due ma ne ignora il motivo, non sa come possa essere successo, per le altre 3 non è lui il colpevole.
Si batte fervidamente per tornare in libertà, negando qualsiasi connessione tra lui e gli omicidi che gli sono stati attribuiti. Dopo 17 anni, ottiene la semilibertà e un lavoro come falegname.
5 ergastoli, commutati in una semilibertà. E’ la fine.
In Maurizio riaffiora la spinta ad uccidere. Il carcere gli ha impedito di frequentare prostitute e massacrarle, ma ora è libero di tornare al suo “passatempo” preferito. E ci torna immediatamente.
Altri 5 omicidi, tra il 1997 e il 2001, stesso modus operandi e la stessa completa dissociazione dai crimini.
Le parole di Maurizio all’indomani della sua nuova cattura saranno: «Mai frequentato prostitute, mai rapinato, mai ucciso. Mi hanno riconosciuto? Qualcuno mi vuole incastrare…».
In carcere Minghella inizia addirittura uno sciopero della fame, portando avanti, ancora una volta, una battaglia per la sua innocenza.
In molti or ipotizzano che Maurizio sia un caso esemplare di soggetto affetto da disturbo dissociativo dell’identità. Altri che sia soltanto un inguaribile bugiardo e basta.
Continua a dire di non essere stato lui, e se anche fosse colpevole, non ricorda nulla.
Che sia lui l’autore dei delitti è un dato di fatto. In rare occasioni si sono trovate prove più schiaccianti di quelle che sono alla base della condanna di Maurizio Minghella.
Trasformare una pena a vita, per un killer di cinque ragazze, in una semilibertà scarsamente controllata è assurdo. Dare modo a Un killer di raddoppiare le proprie vittime è incredibile e vagamente grottesco.
Ma ciò che davvero non torna è come abbia fatto un uomo con un Q.I. di 70, ignorante e anche piuttosto sciocco, considerati anche gli “errori” clamorosi apparsi sulle scene dei crimini, ad ingannare una serie di psicologi che per anni lo hanno interrogato in carcere, e ad aver avuto la possibilità di “reintegrarsi” nella società.
le conseguenze delle leggerezze di giudici e psicologi sono state devastanti. Molte vite spezzate, molto sangue sparso. E ancora una volta il destino ha fatto centro proprio con chi non avrebbe mai dovuto mettere piedi fuori di prigione. Ha dato una grande possibilità proprio a Maurizio Minghella, una nuova opportunità di uccidere.