In tanti anni di letture appassionate in ambito criminologico, la nostra emotività e suscettibilità hanno talvolta rallentato o interrotto la voglia di sapere. Ci si ferma a riprendere fiato, perché i serial killer, gli assassini, sono esseri umani come noi. Può sembrare un pensiero banale ma non lo è, e approfondire certi argomenti necessita di uno sforzo molto particolare. E’ necessario un distaccamento, una freddezza indotta dal piacere dello studio, che però fa i conti con la nostra sensibilità.
I serial killer non sono dei mostri dall’aspetto spaventoso che si aggirano per le strade urlanti, brandendo armi nelle mani. I serial killer sono chiunque. Lo abbiamo visto molto spesso finora: i serial killer sono persone insospettabili che in un giorno qualunque sorprendono le loro ignare vittime.
Per “calmare i nervi” abbiamo preso l’abitudine di dirigerci immediatamente verso la scoperta delle “ragioni del male”.
Il più delle volte l’orrore è incontenibile e urge capire in fretta cosa lo ha causato, non certo per giustificarlo, ma per riportare l’oggetto dello studio e le nostre conseguenti reazioni ad un livello, per quanto possibile, razionale.
C’è però una tipologia di “orrore” che, al di là di ogni sforzo di razionalizzazione, rimane il più forte. Rimane inspiegabile e oltremodo destabilizzante.
Ognuno viene colpito differentemente. Parliamo di soggettività. Ognuno viene colpito da un “orrore più orrido” degli altri: chi dagli assassini di bambini, chi dagli stupratori, chi dai cannibali.
A noi colpisce quella “branca” di serial killer che per un diabolico paradosso, non si è mai sporcata di sangue, quelli che esortano altre persone a trasformare i loro piani malati in realtà. I “mandanti”.
Ci sono molti studi sull’argomento. I nostri preferiti sono quelli di Freud e Gustave Le Bon. L’argomento è l’assoggettamento. Che sia di una piccola setta o di intere masse di uomini, l’effetto non cambia; c’è da rimanere sgomenti per quanto le menti umane possano essere plasmate, soggiogate e “unificate” dalla fascinazione del male.
Mussolini, Hitler e Stalin sono responsabili di milioni di morti e di indicibili violenze, senza mai essersi spostati da una scrivania, da un balcone o da un palcoscenico. Omicidio dettato da un’ideologia politica inoculata in migliaia di esseri che, da persone comuni, sono diventati spietati esecutori, automi al servizio del crimine.
Poi vi sono i carnefici per mano di Dio. Un caso particolarmente cruento è quello di Jim Jones, predicatore americano degli anni ’70 che spinse al suicidio 909 persone (in maggioranza donne e bambini) in nome della libertà e della salvezza.
E poi c’è un personaggio come Charles Milles Manson, da tutti additato come uno tra i più efferati serial killer della storia. Eppure lui non ha fatto niente, mai. Ha ordinato di fare, altri hanno eseguito: i suoi seguaci, i suoi discepoli. Il suo movente? il delirio.
Chiariamo che, secondo la giustizia, mandanti ed esecutori sono allo stesso modo colpevoli; in alcuni casi, i mandanti ottengono anche più anni di carcere.
Quel “lui non ha fatto niente” è una nostra provocazione. E’ osservare quanto perverse
e a tratti grottesche possano risultare queste situazioni. Un singolo folle ordina, una moltitudine esegue. Perché? Omicidi, massacri, tragedie, sangue…su ordinazione. PERCHE’?
Charles non ha mai avuto una famiglia. La madre è una prostituta; entra ed esce dal carcere per vari reati. Il padre non esiste.
Charles viene affidato a degli zii, poi a un istituto.
Non è un caso che la setta da lui formata si chiamerà proprio “THE FAMILY”.
Quando una famiglia non l’hai mai avuta, te la crei.
I suoi “familiari” sono Mary Brunner, Lynette “Squeaky” Fromme, Patricia Krenwinkel, Susan Atkins, Sandra Good e Leslie Van Houtenche, Bruce Davies e Bobby Beausoleil.
Manson in seguito riesce a raccogliere un cospicuo numero di adepti, circa cinquanta; disadattati, sbandati che lo considerano un leader religioso e morale.
Charles afferma di essere la reincarnazione di Gesù Cristo e di Satana insieme. Oltre che per la connotazione religiosa, la setta è dichiaratamente contro i neri. Manson profetizza infatti una guerra civile interrazziale tra bianchi e neri, alla fine della quale i prescelti della Famiglia assumeranno il comando.
Il carisma eccezionale di Charles, unito a massicce dosi di LSD, azzera e sconvolge le menti dei suoi discepoli.
E così il 9 agosto 1969, Manson ordina al gruppo di recarsi a Cielo Drive, ricco quartiere di Los Angeles, con l’obiettivo di penetrare nella villa del regista Roman Polański e di sua moglie Sharon Tate, e quella sera, frequentata anche da alcuni loro amici.
Manson rimane nel ranch dove risiede l’organizzazione; coloro che materialmente eseguono gli ordini sono Charles “Tex” Watson, Susan Atkins, Patricia Krenwinkel, e Linda Kasabian. Entrati nella villa, i membri della “Famiglia” non hanno nessuna pietà.
Vengono massacrati tutti i presenti a coltellate (Roman Polanski è all’estero quella notte), e soprattutto Sharon Tate, 26 anni, incinta di 8 mesi.
Con uno straccio intriso del sangue della Tate, Susan Atkins scrive sulla porta della villa “PIG,” (maiale).Sullo specchio del bagno viene scritto “Helter Skelter,” espressione inglese che significa “confusione” e interpretata da Manson come “arrivo del caos” e “fine del mondo”. Sia “piggies” che “Helter Skelter” sono anche titoli di canzoni dei Beatles, band alla quale Manson è particolarmente devoto.
Il giorno seguente vengono uccisi l’imprenditore Leno LaBianca e sua moglie Rosemary; i due sono colpiti da più di quaranta colpi alla testa con una forchetta e il cadavere di Leno LaBianca viene trovato con un forchettone conficcato nello stomaco. Vengono di nuovo scritte col sangue “Death to Pigs” (“Morte ai Maiali”) e Helter Skelter.
I crimini della “famiglia” continuano per altri mesi, fin quando Vincent Bugliosi, avvocato di origini italiane, riesce ad incastrare Manson. Inoltre alcuni seguaci lo tradiscono; testimone chiave nel processo è Linda Kasabian. Manson viene così arrestato per Il caso ribattezzato “Tate-LaBianca” e viene accusato di essere il mandante degli omicidi.
Svanito l’effetto dell’LSD e l’assoggettamento mentale di Manson, uno dopo l’altro, i
componenti della “family” bruciano nel rimorso dei loro delitti. In particolare Susan Atkins verrà più volte intervistata, sempre sconvolta, con la voce tremante e gonfia di odio nei riguardi di Charles, per ciò che le ha fatto fare.
Manson invece no. Lui è un folle, e folle rimane fino alla morte, dopo decine di anni di carcere. Le sue interviste diventano leggendarie. Mai pentito del suo “operato”, si fa grasse risate, canta, farfuglia, urla e impreca.
Il marionettista, il mastro burattinaio, mosse i fili direttamente dall’inferno.
Sangue ovunque, vittime, e ancora vittime tra i suoi adepti, riarsi dalla colpa, a vita.