Il caso di Milena Quaglini è esattamente l’opposto di quello trattato in precedenza.
Karla Homolka ha avuto una famiglia felice, una vita serena fino a 17 anni, poi anni di violenza e morte, poi ancora felicità, con un marito e dei figli.
Milena ha avuto un’infanzia e un’adolescenza terribili, poi anni di felicità, poi ancora il buio, il male.
esaminando i due casi, ci è sembrato interessante scrivere di entrambe, in sequenza, evidenziando, delle loro vite, questa sorta di “triade inversa”; per Karla “bellezza-orrore-bellezza”, per Milena “orrore-bellezza-orrore”.
Milena Quaglini nasce a Mezzanino,un comune dell’oltrepò
pavese, nel 1957.
Il padre è un alcolista; non sa fare nient’altro che ubriacarsi e mettere le mani addosso
a Milena.
Anche gli altri membri della famiglia (la moglie e un’altra figlia) non vengono risparmiate.
L’infanzia e l’adolescenza di Milena sono imbevute di violenze e dolore.
Il carattere e la personalità della Quaglini si formano quindi nel disordine,
labili e compromessi.
Di affetto materno nemmeno l’ombra. La madre è solo una vittima sottomessa.
La figura paterna non esiste, esiste un mostro. Esistono delirio alcolico, percosse e castigo.
Milena non conosce nient’altro che questo, per quasi vent’anni.
Poi fugge.
A darle il coraggio di uscire dall’incubo è un uomo, più grande di quindici anni,
con il quale Milena si sposa in fretta e mette al mondo un bambino.
Da qui inizia la seconda parte della vita di Milena. Saranno gli anni della bellezza.
Adesso c’è una famiglia felice. I due vivono insieme a Lodi ed è tutto tranquillo, normale, tutto andato per il verso giusto.
Se questa storia terminasse qui, sarebbe una storia a lieto fine: Una povera ragazza con un passato violento che incontra un “principe azzurro” e ottiene la felicità tanto attesa.
Ma il destino vuole Milena di nuovo in ginocchio, ferita e in lacrime.
Un brutto giorno, il marito si ammala di diabete e in pochissimo tempo, muore.
Muore l’unico uomo che Milena abbia amato e da cui abbia ricevuto un amore sincero e pulito (da sua stessa confessione).
Da qui in poi, la seconda parte della vita di Milena si conclude, nella maniera peggiore;
lutto, depressione, dolore e soprattutto, molto molto alcool.
da qui in poi, terza parte; si torna nell’orrore.
Da qui in poi Milena sembra quasi grottescamente cadere nella tipica “coazione a ripetere”.
Vocabolario alla mano, il significato di questa espressione è il seguente: “tendenza incoercibile, del tutto inconscia, a porsi in situazioni penose o dolorose, senza rendersi conto di averle attivamente determinate, né del fatto che si tratta della ripetizione di vecchie esperienze”.
Non sappiamo se sia inconscia o meno, ma la voglia di amore di Milena attirerà quella violenza del passato, subita dal padre, in ogni uomo che incontrerà da questo momento in avanati; uno dopo l’altro come una calamita. Inconsciamente o no, Milena si circonda di mostri.
Incontra prima Mario Fogli, un camionista e un alcolista. Iperpossessivo, ossessivo e geloso. Da lui Milena avrà due figli. Si sposano e divorziano nel giro di breve tempo, dopo liti furiose e soprattutto a causa dei debiti di Mario, che causano il pignoramento della loro casa.
Milena se ne va con la seconda figlia, in Veneto.
Qui conosce il signor Dalla Pozza: un anziano di 83 anni che offre lavoro come badante a Milena. Si accorge che la Quaglini è in forti difficoltà economiche e le presta 4 milioni per poi chiederle di ripagarlo in natura. Al rifiuto di Milena, Dalla Pozza cerca di violentarla. Nasce una colluttazione, Milena afferra una lampada e colpisce Dalla Pozza. Milena esce a chiamare un’ambulanza. Dalla Pozza muore dopo dieci giorni di agonia, ma il caso viene archiviato come “morte per caduta accidentale”.
In seguito Milena verrà condannata a 20 mesi di reclusione per eccesso di legittima difesa.
Milena decide di tornare da Mario Fogli. Ricominciano le liti, ricomincia un consumo di alcool e antidepressivi spropositato e il 2 Agosto 1998, in stato di forte ubriachezza, la Quaglini strangola il marito nel sonno con la corda della tapparella. Per un attimo Mario si sveglia, ma lei lo colpisce in testa con un porta gioie, e finisce il lavoro con la corda.
Questa volta non è legittima difesa. Questo è un omicidio. Il secondo in effetti.
Milena viene arrestata e condannata a 6 anni e 8 mesi da scontare ai domiciliari grazie alla riduzione della pena per semi-infermità mentale. Viene mandata in una comunità per farla smettere di bere, senza successo. Incontra un ex-carabiniere che le offre ospitalità e conforto.
Due giorni dopo cerca di violentarla. Incredibile, ma non è finita.
Il 5 ottobre del 1999 è la volta di Angelo Porrello, conosciuto tramite un annuncio.
Geloso, troppo geloso. Un giorno, per una banale lite, Angelo schiaffeggia Milena e la violenta, per tre volte.
La situazione si calma per qualche ora. Milena prepara un caffè, ci scioglie dentro 20 tranquillanti. Il marito lo beve ignaro e si addormenta. Milena lo adagia nella vasca da bagno piena d’acqua, esce di casa, e quando torna, trova il Porrello affogato.
Siamo a tre omicidi.
Una volta in carcere, Milena sprofonda completamente nella depressione e il 16 ottobre 2001, mette fine alle sue sofferenze, impiccandosi con un lenzuolo.
Tre omicidi e un suicidio. Fine.
Milena è stata una serial killer “atipica” : c’è completa assenza di una spinta e di un piacere sessuali in quello che ha compiuto, caratteristica comune alla maggior parte degli assassini seriali. Milena è stata mossa dall’esasperazione. Ha ritrovato sulla sua via, dopo che era riuscita a fuggirne, il male. Il male paterno. Lo ha ritrovato più e più volte e ha deciso di distruggerlo nel modo più cruento. E poi ha distrutto sé stessa, forse perché se è vero che la sua vita è stata rovinata da “agenti esterni”, è anche vero che il male le ha scavato dentro fin da subito, fin da bambina e il male interiore è ben più difficile da distruggere. La soluzione più facile è stata quella di assassinare il male, prima fuori, e poi dentro.